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Impedire la formazione di intercapedini insalubri o l’affaccio su esse è interesse pubblico sanitario

Come modificare o realizzare nuove costruzioni, o anche porzioni di esse, nel rispetto della disciplina delle distanze legali in presenza di altri edifici circostanti, e infine come modificare le aperture e finestre poste su facciate di edifici situati a distanze inferiori a quelle minime?

L’articolo 9 del D.M. 1444/1968 contiene l’obbligo generale di rispettare la distanza minima di dieci metri tra costruzioni, ed è noto che la sua finalità sia salvaguardare l’interesse pubblico sanitario alla salubrità dell’affacciarsi di esseri viventi agli spazi intercorrenti fra gli edifici che si fronteggiano (cfr. Cass. Civ .n. 20574/1997), quando almeno uno dei due abbia una parete finestrata (cfr. Cass. Civile, Sezioni Unite n. 1486/1997), a prescindere dal fatto che quest’ultima sia costruita prima o dopo l’altra parete (cfr. Cass. 13547/2011).

Alle medesime conclusioni perviene la costante giurisprudenza amministrativa (da ultimo Cons. di Stato n. 5663/2023, n. 7029/2021, n. 856/2016, affermando che la disposizione contenuta nell’ art. 9 del d.m. n. 1444/1968, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza; tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile.

planimetria distanze 10 metri tra costruzioni

Come misurare e progettare la distanza minima di dieci metri DM 1444/68

Per rispondere in via sintetica, si riportano di seguito alcuni criteri e principi consolidati da tempo sulla celebre distanza minima di 10 metri tra edifici:

  • Per impedire il possibile pregiudizio igienico-sanitario derivante dalla formazione di una intercapedine dannosa per chi vi si affaccia e ci vive, è stato imposto l’anzidetto rispetto della distanza minima ai sensi del DM 1444/68, tale da garantire la circolazione d’aria e la irradiazione di luce idonee a mantenere la salubrità di affaccio;
  • La nozione di «antistanza» o «frontalità» va riferita e circoscritta anche alle porzioni di pareti che si fronteggiano e pertanto qualora non distanziate adeguatamente, presentano un problema di aerazione e irraggiamento solare, con un pericolo concreto che si crei un’intercapedine nociva;
  • Ove le pareti si fronteggino solo per un tratto il rispetto della distanza ex art. 9 d.m. 1444/1968 deve essere assicurato entro (e solo entro) le porzioni di pareti antistanti, nell’accezione predetta, perché aventi diversa estensione orizzontale, verticale o non perfettamente parallele (cfr. Cass. civ. 4639/1997).
  • Criterio di misura della distanza di 10 metri è di tipo lineare (e non radiale, come accade invece rispetto alle vedute (Cass. civ. 9649/2016), e va rispettata entro il segmento delle pareti tale che l’avanzamento (ideale, meramente pensato) dell’una la porti ad incontrare l’altra, sia pure in quel segmento (cfr. Cass. 4175/2001).
  • I predetti criteri valgono anche quando si intende sopraelevare rispetto a costruzioni esistenti distaccate dal fabbricato a distanza inferiore a quelle minime;
  • Equipollenza tra luce e vedute, due orientamenti opposti: ai fini delle distanze minime tra pareti finestrate si segnala l’esistenza di diversi orientamenti, rinviando a relativo approfondimento.
  • Ove le norme tecniche attuative del piano regolatore comunale stabiliscano deroghe a tale distanza, è stato più volte stabilito che l’art. 9 del d.m. n. 1444/68 (emanato ai sensi dell’art. 41-quinquies L. 1150/42, aggiunto dall’art. 17 della L. 765/67), ha efficacia di legge dello Stato, sicché queste disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali e comunali successivi, ai quali si sostituiscono per “inserzione automatica”, con immediata operatività nei rapporti tra privati, in virtù della natura integrativa del regolamento rispetto all’art. 873 cod. civ. (Cass. Civ. n. 9685/2023, n. 624/2021, n. 15458/2016);
  • La distanza minima di dieci metri è applicabile anche quando tra le due costruzioni si determini uno spazio chiuso, quale una chiostrina (Cass. civ. n. 28147/2022), sicché non comporta alcuna conseguenza, al fine del rispetto delle distanze prescritte, la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti che determinino uno spazio interno, quantunque chiostrina o cortile o pozzo luce;
  • in materia di distanze tra fabbricati, l’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 va interpretato nel senso che la distanza minima di dieci metri è richiesta anche nel caso in cui una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e che è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente, essendo sufficiente, per l’applicazione di detta distanza, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, benché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta, con la conseguenza che il rispetto della distanza minima è dovuto pure per i tratti di parete parzialmente privi di finestre (Cass. Civ. n. 11048/2022).
  • l’articolo 9, n. 2, del D.m. 1444/1968 non impone di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato, in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine. Ove, invece, il preveniente abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino allabdistanza di mt. 10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal confine, ed eventualmente procedere all’interpello di cui all’art. 875, comma 2, c.c., qualora ne ricorrano i presupposti» (Cass. Civ. n. 9685/2023, n. 4848/2019).

Tolleranza 2% applicabile a distanze legali (anche 10 metri tra edifici)

E’ possibile che gli edifici progettati con distanze minime pari a 10 metri non siano stati poi realizzati perfettamente rispondenti e conformi alle misure del progetto approvato; fino all’emanazione del decreto-legge “Salva Casa” n. 69/2024 (convertito in legge 105/2024), il rispetto della distanza minima di 10 metri era tassativo e senza margini di tolleranze. La legge Salva Casa ha provveduto a chiudere favorevolmente quel minimo dibattito sulla possibile estensione applicativa delle tolleranze 2% “normalmente” edilizie anche alle distanze legali, già anticipato con alcune norme regionali e con certe prassi comunali. Tale norma ha inserito la nuova tolleranza distanziale” del 2% all’interno del comma 1-ter, articolo 34-bis, del testo unico edilizia:

«Gli scostamenti di cui al comma 1 rispetto alle misure progettuali valgono anche per le misure minime individuate dalle disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari».

Il testo del richiamato comma 1 è il seguente:
«1. Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo».

Si tratta della stessa norma che riguarda la tolleranza sanitaria del 2%, applicabile alle soglie minime dei requisiti previsti da norme igienico sanitarie. Possiamo inquadrarla come tolleranza ibrida, in quanto riferita a parametri misurabili, verosimilmente alle tolleranze costruttive, ma non riferita alle misure progettuali, bensì riferita alle misure minime stabilite dalla normativa sulle distanze, senza fare distinzioni tra le varie tipologie (tra fabbricati, dai confini, dalle strade, eccetera).

In definitiva, il secondo periodo contenuto nel comma 1-ter dell’art. 34-bis T.U.E., ha esteso l’applicazione della tolleranza edilizia del 2% anche alle distanze legali, consentendo la possibilità di derogare fino a 9,80 metri la distanza minima di dieci metri tra edifici, prevista dal D.M. 1444/68. Tale disposizione non prevede ulteriori condizioni legati all’epoca di esecuzione, zonizzazione territoriale o vincoli in generale. Con questo, tuttavia, si consiglia di non confidare troppo in questa tolleranza distanziale del 2%, e soprattutto di non fare progetti ed esecuzione opere pianificando il discostamento.

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Apertura e modifiche aperture o finestre su distacchi tra edifici inferiori alle distanze minime

La giurisprudenza amministrativa ha illustrato i motivi per cui la distanza minima di 10 metri tra costruzioni, stabilita dal D.M. 1444/68, trovi applicazione non soltanto quando si debbano realizzare nuove pareti, ma anche quando si debbano aprire nuove finestre su pareti già esistenti poiché ciò confligge con la finalità della norma che è quella di impedire la formazione di intercapedini dannose per l’igiene e la salute di chi occupa gli edifici antistanti. Ciò significa che costituisce situazione antigiuridica anche l’apertura di finestre su pareti che prima ne erano prive e che sono poste fra loro a distanza inferiore a dieci metri, rendendo perfino illegittimo il titolo edilizio che la prevede (Cons. di Stato n. 5466/2020). Con l’apertura di nuove finestre si pongono a rischio i valori di stampo pubblicistico tutelati dalla norma e quindi si concretizza la violazione.

L’anzidetta distanza minima dei dieci metri trova applicazione anche per l’apertura di una finestra in più rispetto alla situazione precedente, (ad esempio quando si ha una sola finestra posizionata più in basso sul lato frontistante la stessa proprietà), trattandosi, «infatti, di un nuovo elemento che eccede rispetto all’originaria costruzione, che consiste in un ampliamento all’esterno della sagoma dell’edificio esistente e realizzato per la prima volta mercé il permesso di costruire rilasciato in modo illegittimo» (Cons. di Stato n. 1056/2022, n. 5466/2020, per un caso conforme vedi Cass. civ. n. 473/2019).

Inoltre è irrilevante la qualificazione della categoria di intervento edilizio (nuova costruzione, ristrutturazione, demolizione e ricostruzione) perché in ogni caso è stato realizzato un elemento edilizio nuovo, che non era presente nel vecchio edificio, senza che sia possibile rinvenire deroghe nella disciplina urbanistica comunale (nei limiti in cui sono autorizzabili dalle leggi regionali, trattandosi di ordinamento civile sub specie di disciplina della proprietà).

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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