Non è liberalizzato il mutamento funzionale di superfici accessorie o pertinenziali verso fini abitativi e altre categorie rilevanti
Liberalizzazione cambi d’uso in centri abitati, condizioni e limiti concessi a strumenti urbanistici comunali
Quali condizioni può stabilire il Comune per limitare i mutamenti di destinazione d’uso disciplinati dopo la legge n. 105/2025 “Salva Casa”? A circa un anno di distanza della norma si sta delineando il perimetro delle specifiche condizioni che possono essere fissate dal Comune attraverso i propri strumenti urbanistici e regolamenti edilizi, allo scopo di limitare quei mutamenti funzionali, con o senza opere, liberalizzati nei confronti della disciplina comunale. Sull’argomento è opportuno consigliare anche la distinzione tra mutamenti di destinazione d’uso rilevanti e tra categorie omogenee.
Una interessante risposta proviene dalla sentenza del TAR Bari n. 553/2025, in cui sono dettagliati i possibili criteri per limitare questa nuova ventata di liberalizzazione funzionale degli immobili. Occorre premettere che il decreto-legge n. 69/2024 “Salva Casa” (L. 105/2024) ha integrato la disciplina dei cambi di destinazione d’uso introducendo alcune liberalizzazioni all’interno dell’articolo 23-ter del d.p.r. 380/2001 i seguenti commi:
- comma 1-bis, per cambi d’uso “orizzontali” cioè tra categorie omogenee interne a quella funzionale: «Il mutamento della destinazione d’uso della singola unità immobiliare senza opere all’interno della stessa categoria funzionale [come determinate alle lettere da a) a d) del precedente comma 1, n.d.r.] è sempre consentito, nel rispetto delle normative di settore, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni».
- comma 1-ter, cambi d’uso “verticali” cioè tra alcune categorie funzionali in centri abitati: «Sono, altresì, sempre ammessi il mutamento di destinazione d’uso tra le categorie funzionali di cui al comma 1, lettere a), a-bis), b) e c), di una singola unità immobiliare ubicata in immobili ricompresi nelle zone A), B) e C) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, ovvero nelle zone equipollenti come definite dalle leggi regionali in materia, nel rispetto delle condizioni di cui al comma 1-quater e delle normative di settore e ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni».
- comma 1-quater, cambi d’uso “prevalenti”, cioè verso categoria funzionale principale nell’edificio: «Per le singole unità immobiliari, il mutamento di destinazione d’uso di cui al comma 1-ter è sempre consentito, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, qualora il mutamento sia finalizzato alla forma di utilizzo dell’unità immobiliare conforme a quella prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell’immobile.».
In sintesi, la liberalizzazione funzionale all’interno della stessa categoria primaria era già consentita anche prima del Salva Casa, mentre quest’ultimo provvedimento ha introdotto quella tra categorie funzionali primarie. Intanto la modifica generale dei mutamenti d’uso apportata dal Salva Casa all’interno del testo unico edilizia DPR 380/01 ha avuto portata dirompente perfino sulle previgenti disposizioni regionali, come stabilito dal comma 3, articolo 23-ter, del TUE, novellato dal Salva Casa:
3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo, che trovano in ogni caso applicazione diretta, fatta salva la possibilità per le regioni medesime di prevedere livelli ulteriori di semplificazione.
E se tale applicazione forzosa vale verso le disposizioni regionali previgenti al Salva Casa, figurarsi se la stessa prevalenza della norma nazionale non debba valere verso i regolamenti edilizi e strumenti urbanistici comunali; francamente questo approccio di liberalizzazione funzionale non mi fa impazzire, anzi, apre a possibili scenari di carenze verso le infrastrutture, dotazioni territoriali e urbanizzazioni varie. Detto ciò, l’entrata in vigore della L. 105/2024 ha forzato i vari blocchi previsti dai vari piani regolatori e regolamenti edilizi comunali, in particolare quelle discipline di localizzazione funzionale nei centri abitati.
L’ulteriore conferma di questo “azzeramento” generale proviene anche dalla predetta sentenza del TAR Puglia n. 553/2025, la quale ha affermato che «le regolamentazioni urbanistiche previgenti, anche quelle di origine convenzionale, volte a disciplinare i mutamenti di destinazione d’uso, diventano recessive rispetto alle previsioni contenute all’art. 23-ter d.p.r. 380/2001, come integrate ed innovate dal D.L. 69/2024, tanto più se presentano elementi di contrasto rispetto a queste ultime».
Ciò significa che all’improvviso le discipline funzionali comunali devono conformarsi a quella sopravvenuta a livello nazionale, cioè all’articolo 23-ter TUE, e disapplicare quelle parti in contrasto ad esso. Il problema inizia a manifestarsi da più parti perchè costringe i comuni a dover rifare i propri strumenti urbanistici e regolamenti, e molti di essi preferiscono attendere la disciplina regionale in materia (è comprensibile, vorrebbero evitare un doppio lavoro). Pertanto, il Comune dovrà provvedere ad approvare specifiche condizioni regolamentari per disciplinare e limitare, alla luce della legislazione sopravvenuta, i mutamenti di destinazione d’uso, anche nei casi di pianificazione attuativa, ovvero strumento urbanistico attuativo.
Per quanto riguarda i limiti e condizioni ai mutamenti d’uso liberalizzati “Salva Casa”, una prima indicazione è stata fornita dalle seguenti Linee Guida MIT.

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Linee guida MIT, Poteri comunali limitati sui cambi di destinazione d’uso
Sul punto, tra l’altro, si è espresso anche il Ministero delle Infrastrutture (MIT) con apposite Linee guida contenenti gli indirizzi ed i criteri interpretativi sull’attuazione del D.L. 69/2024, le quali alla FAQ D.2.1.1 spiegano che:
«Posto che i poteri pianificatori degli enti locali in materia di destinazioni territoriali e dei singoli edifici possono estrinsecarsi nell’imposizione di condizioni, limitazioni o divieti, si chiarisce preliminarmente che le “condizioni” menzionate all’articolo 23-ter, commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, dovranno risolversi in criteri oggettivi e non discriminatori, tali, quindi, da non imporre arbitrarie limitazioni o restrizioni. Tali condizioni, peraltro, potranno riferirsi ai soli aspetti concernenti il mutamento di destinazione d’uso e non anche alle modalità di realizzazione degli interventi nelle ipotesi di esecuzione di opere edilizie contestuale al mutamento stesso.
In secondo luogo, le condizioni dovranno essere specifiche, e, quindi, non potranno essere implicitamente desunte dagli strumenti urbanistici comunali vigenti, in considerazione del fatto che quanto disposto dal novellato articolo 23ter del Testo unico prevale sulle previsioni restrittive o impeditive negli stessi contenute. Invero, nell’ambito del quadro normativo delineato dalla riforma, la facoltà di imporre o meno specifiche condizioni costituisce un meccanismo di flessibilità che consente all’ente locale di tenere conto delle esigenze concrete di ordinato assetto del territorio. Invero, il legislatore statale esprime un chiaro favor per la semplificazione e l’agevolazione del mutamento di destinazione d’uso, nella consapevolezza, però, dell’esigenza di consentire i necessari adattamenti al modello regolatorio delineato dalla riforma al fine di poter considerare le specificità del contesto urbano di riferimento. Ne deriva che le condizioni fissate dovranno essere sorrette da adeguata motivazione, in punto, per esempio, della necessità, valutata in concreto dall’amministrazione, di salvaguardare il decoro urbano o la salute e la sicurezza pubblica. Pertanto, le “specifiche condizioni” potranno essere definite nelle forme ritenute idonee dal comune, nel rispetto del Testo unico degli enti locali, anche traendo dagli strumenti urbanistici vigenti le previsioni che si intendono far valere quali condizioni ai fini dell’attuazione delle novelle in esame. Alla luce di quanto precede, le condizioni possono rivestire una triplice finalità e, segnatamente:
a) possono limitare, in relazione a specifiche e motivate esigenze, l’operatività della legge statale, la quale, in loro assenza, consente senz’altro il mutamento di destinazione d’uso orizzontale (comma 1-bis) e il mutamento verticale (comma 1-ter) di una singola unità immobiliare, nel rispetto delle normative di settore;
b) possono consentire la piena operatività della legge statale, qualora gli strumenti urbanistici comunali siano abilitati a individuare specifiche zone ove applicare la disciplina in commento anche alle unità immobiliari poste al primo piano fuori terra o seminterrate (comma 1-quater);
c) possono modulare l’operatività della legge statale, nell’ipotesi di apposizione della speciale condizione volta a consentire il mutamento di destinazione d’uso verticale di una singola unità immobiliare soltanto in conformità alla forma di utilizzo prevalente nell’immobile.»
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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