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Il Consiglio di Stato ha escluso la retroattività della norma che ha ricompreso nella ristrutturazione edilizia il ripristino di edifici esistenti

Su segnalazione dell’amico Roberto S., vado a commentare la sentenza n. 616/2023 del Consiglio di Stato, relativa al ripristino di edifici crollati o demoliti in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. 98/2013 (conversione del D.L. 69/2013 “Decreto del Fare”).
La fattispecie riguardava la ricostruzione di un fabbricato abitativo, gravemente danneggiato dal sisma Irpinia 1980 e successivamente demolito interamente, per cui si intendeva ricostruirlo nel 2015.

Ciò ha molta importanza perchè l’ampliamento della categoria di ristrutturazione edilizia (articolo 3 c.1 lettera d) DPR 380/01) operata nel 2013 non avrebbe portata anche retroattiva, ma soltanto innovativa.

In altre parole il “declassamento semplificato” da nuova costruzione a ristrutturazione edilizia per ripristinare edifici crollati o demoliti non vale per tutti i tipi, ma soltanto per quelli crollati o demoliti in epoca successiva all’entrata in vigore della L. 98/2013.

A seguito delle modifiche apportate dall’articolo 30 comma 1 lettera a) D.L. 69/2013 (conv. con L. 98/2013), la definizione di ristrutturazione edilizia ex articolo 3 c.1 TUE ha assorbito in prima versione il ripristino di edifici crollati o demoliti, nel rispetto della preesistente consistenza legittimata.

Art. 3, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001 allora vigente al DL 69/2013:

“….Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria [e sagoma] di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché’ sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente ”

Ci tengo a precisare che dopo il D.L. 69/2013, la categoria di intervento di ristrutturazione edilizia ex art. 3 c.1 TUE è stata modificata più volte, vedasi DL 76/2020, L. 34/2022 e L. 91/2022, in particolare anche per i ripristini di edifici demoliti e crollati.

Secondo questa sentenza, che farà da orientamento vero e proprio, questa nuova fattispecie di ristrutturazione edilizia trova applicazione soltanto per le situazioni di crollo o demolizione verificatesi posteriormente all’entrata in vigore della L. 98/2013.

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La motivazione di questa irretroattività è attribuita al comma 6 dell’articolo 30 D.L. 69/2013, il quale stabilisce espressamente che le modifiche del predetto articolo (verso il DPR 380/01) si applicano “dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, cioè in vigenza dal 9 ottobre 2013. Questa disposizione trova comunque efficacia, anche se non la troviamo espressamente riportata nella categoria di ristrutturazione edilizia nel DPR 380/01.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’ampliamento della ristrutturazione “ricostruttiva” riservata ad edifici già demoliti o crollati ha un limite cronologico, cioè l’entrata in vigore della L. 98/2013.

Di conseguenza, nella sentenza si evince che per edifici crollati o demoliti anteriormente all’entrata in vigore della L. 98/2013, non debbano rientrare nella ristrutturazione edilizia, ma in nuova costruzione.

La stessa sentenza n. 616/2023 del Consiglio di Stato ha anche tenuto conto delle modifiche apportate alla definizione di ristrutturazione edilizia dal D.L. 76/2020, ritenendo che abbia ulteriormente accentuato il requisito di continuità con l’edificio preesistente, aperto con D.L. 69/2013.

Ciò significa che le modifiche normative ex DL 76/2020 si siano limitate a diversificare il ripristino di edifici demoliti o crollati, senza azzerare minimamente il valore di “spartiacque” operato dall’entrata in vigore della L. 98/2013.

Per dirla brevemente, la sentenza C.d.S. esclude una portata retroattiva del DL 69/2013 e concepisce due autonomi regimi edilizi verso le costruzioni il cui crollo o demolizione sia avvenuto:

  • ante L. 98/2013: sono da considerare automaticamente nuova costruzione, soggetta a permesso di costruire;
  • post L. 98/2013: rientrano in ristrutturazione edilizia, ma rispettando diverse condizioni e presupposti, in particolar modo quelli sopravvenuti col DL 76/2020, L. 34/2022 e L. 91/2022.

Si apre quindi lo scenario di dover verificare nel tempo l’avvio delle condizioni di collabenza e crollo degli edifici, tra parziale e totale; saranno necessarie le foto aeree, le variazioni catastali registrate in F/2 e altri elementi probanti con data certa, in grado di dimostrare lo stato effettivo dell’immobile alla soglia interessata.

Ripristino di edifici crollati o demoliti, rapporto di continuità con edificio preesistente

E’ importante analizzare come il legame di continuità che caratterizza gli interventi di ristrutturazione sia molto più labile, e, soprattutto, viene ad esistenza solo a posteriori, cioè a seguito della scelta del privato di ricostruire l’edificio crollato o demolito tempo prima: fintanto che l’interessato non manifesta l’intenzione di procedere alla ricostruzione nella realtà fisica il fabbricato non esiste più e quindi non può essere percepito come entità “virtualmente” ancora presente.

Nella predetta sentenza del Consiglio di Stato n. 616/2023 viene specificato come le norme, prescrizioni e regolamenti che, a vario titolo (urbanistiche, edilizie, tutela del paesaggio, etc.etc.) intervengono dopo la demolizione o il crollo dell’edificio, disciplinando l’uso del suolo in modo che la realizzazione di nuove costruzioni o di nuovi volumi non sia più consentita, devono ritenersi opponibili al proprietario del fondo, e quindi preclusive anche di interventi di ristrutturazione, trattandosi di norme che legittimamente (e prima ancora logicamente) sono partite dalla considerazione del fondo come sgombro dai volumi che si intendono ricostruire, e sulla base di tale considerazione hanno espresso una scelta.

Sentenza C.d.S. n. 616/2013 TESTO INTEGRALE

La stessa sentenza ha precisato il principio secondo cui la volumetria rinveniente dalla demolizione/crollo di un edificio non si “estingue” se seguita dalla ricostruzione, conseguendo da ciò che la ricostruzione nel rispetto della volumetria preesistente non implica nuova costruzione, non può trovare applicazione al caso in cui la ricostruzione non sia programmata già da un momento precedente al crollo o alla demolizione e quindi non vi è certezza circa il fatto che tale volumetria sarà “riutilizzata”: opinare diversamente significherebbe, quantomeno in difetto di specifiche norme urbanistiche che disciplinino tale situazione, lasciare il regime giuridico di un fondo in una situazione di incertezza giuridica che ridonderebbe sulla capacità dell’amministrazione di programmare correttamente l’uso del territorio.

Ad esempio, in sede di approvazione di una variante generale allo strumento urbanistico, l’amministrazione non sarebbe certa di poter ritenere la volumetria rinveniente da demolizioni/crolli quale volumetria ancora “impegnata” o esistente, o, al contrario, non esistente e tale da poter essere eventualmente collocata su altri fondi.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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