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Circolare 18/07/1986 n. 3466/25 – Ministero dei lavori pubblici – art. 48 della legge 28-2-1985, n. 47 – Opere interne realizzate prima dell’entrata in vigore della legge.

Pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 31/07/1986 n. 176


Secondo l’art. 48 della legge n. 47 del 1985 nel testo sostituito dall’art. 1 del decreto legge 23-4-1985, n. 146, convertito nella legge 21-6-1985, n. 298 “per le opere interne alle costruzioni, definite dall’art. 26, realizzate prima dell’entrata in vigore della presente legge o in corso di realizzazione alla medesima data, il proprietario della costruzione o della unità immobiliare deve inviare al sindaco, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, una relazione descrittiva delle opere realizzate, entro il termine del 30 giugno 1986”.

Con tale disposizione, dunque, il legislatore si è limitato a prescrivere, per le opere interne realizzate anteriormente o in corso di realizzazione alla data di entrata in vigore della legge medesima, la presentazione da parte del privato di una relazione descrittiva delle opere, senza prevedere, in caso di omissione, alcuna sanzione particolare. Si tratta di mero obbligo di condotta. Si pone quindi il problema di quali effetti giuridici scaturiscano dall’eventuale inerzia del privato, in particolare, se da essa consegue l’applicazione di una qualche sanzione. La risposta al quesito presuppone che si chiarisca la collocazione delle opere interne nell’ambito del sistema sanzionatorio precedente e attuale. Il punto di partenza è dunque costituito dall’art. 26 della legge n. 47 del 1985 che nel disporre, al comma 1, che “non sono soggette a concessione né ad autorizzazione le opere interne alle costruzioni…”, prevede poi, al comma 2, l’obbligo del proprietario di presentare al sindaco, contestualmente, all’inizio dei lavori, una relazione che asseveri le opere da compiersi e il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme igienico-sanitarie vigenti.

Il successivo comma dell’art. 26, infine, punisce la mancata presentazione della relazione mediante l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 10, ridotta di un terzo. L’ambito di applicazione dell’art. 26 copre una serie molto ampia di opere che nel precedente regime erano assoggettate a sanzione solo nel caso in cui era richiesta la concessione e tale sanzione era tipicamente ripristinataria ed era strutturata secondo i modelli tipici dell’attività amministrativa; nei rimanenti casi invece non era prevista alcuna sanzione (quando cioè era richiesta la sola autorizzazione: vedi Cassazione – sezione III, 12 aprile 1983, n. 782: TAR Lazio, II sezione 21 ottobre 1984, n. 914: TAR Lombardia – Milano, 9 novembre 1984, n. 346).

Ne consegue che il legislatore ha innovato in due direzioni precise. Anzitutto ha liberalizzato l’esecuzione di dette opere che non più assoggettate ad atto di assenso dell’amministrazione e rientrano, quindi, nell’ambito della libera determinazione del privato. Tale effetto si dispiega evidentemente non solo per il futuro ma, anche con riferimento al passato. Ed invero non sembra concepibile l’applicazione di sanzioni a comportamenti nei quali non si ravvisa più la lesione di un interesse pubblico. Il legislatore ha poi introdotto un obbligo di condotta (la presentazione della relazione); il quale non limita l’esercizio dello jus aedificandi ma è diretto a consentire l’esercizio da parte dell’amministrazione di controlli, da esercitarsi contestualmente all’esecuzione delle opere, rivolti ad assicurare che l’attività medesima avvenga nel rispetto delle norme di sicurezza ed igienico-sanitarie. L’omissione di tale condotta è, quindi, colpita con una sanzione meramente pecuniaria che rientra per intero nel modello punitivo ed è quindi assoggettata ai criteri generali contenuti nella legge n. 689 del 1981 (Princìpi di legalità, di personalità della pena, di irretroattività della sanzione, di prescrittibilità dell’azione repressiva).

La conseguenza fondamentale – in relazione al quesito proposto – è che la nuova sanzione è destinata ad operare solo per il futuro. Ad avviso di questo Ministero, pertanto, in caso di mancata presentazione della relazione di cui all’art. 48 della legge n. 47 del 1985 non sono più applicabili le eventuali sanzioni ripristinatorie previgenti (nell’ipotesi in cui le opere interne rientrassero nella categoria di quelle già assoggettate a concessione edilizia) proprio perché non è più ipotizzabile l’esistenza di opere interne abusive. Tantomeno appare applicabile la sanzione pecuniaria di cui all’art. 26 della legge n. 47 del 1985.

Ciò in quanto tale sanzione è retta dal principio di legalità (art. 1 della legge n. 689 del 1981) in forza del quale “le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerate” dal che ne deriva l’impossibilità di una applicazione estensiva o retroattiva della disposizione contenuta nell’art. 26 più volte citato. Tuttavia, anche se nella fattispecie in esame non è prevista alcuna sanzione, cionondimeno, sul piano pratico, la mancata presentazione, entro il termine stabilito dall’art. 48 della legge n. 47 del 1985, della relazione descrittiva, espone indubbiamente il privato a possibili contestazioni circa la data di realizzazione delle opere interne costringendolo a documentare l’anteriorità delle stesse rispetto alla data di entrata in vigore della legge sul condono edilizio.

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