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Il ricorso al cosiddetto diritto al panorama rischia di sfuggire di mano, quale strumento di pretesa offerto a chiunque per impedire attività edificatorie. Anche dalle inchieste di Milano sui presunti abusi edilizi emergono più volte contestazioni per lesioni sul diritto al panorama. Oppure, facendo un esempio, prendiamo una palazzina residenziale esistente di quattro piani che vede costruirsi un grattacielo da 24 piani a 19 metri di distanza, con conseguente riduzione di aria, luce, riservatezza e veduta del contesto circostante.

Nessuno sarebbe contento di perdere di colpo così tanti benefici sul proprio immobile, senza magari neppure essere preavvisato, e sopratutto dopo aver pagato a caro prezzo con mutuo in certi contesti. Per quanto riguarda il filone delle inchieste milanesi, spetterà alla magistratura questo tipo di valutazione, sopratutto sulla legittimità dei titoli abilitativi di tali interventi. Il punto rovente invece è un altro: non è che l’abuso di questa nozione rischia di profilarsi come un nuovo timore con conseguente blocco dell’attività edilizia, visto che ciascun vicino potrebbe millantare una servitù con effetti di inedificabilità, o forse un vincolo diretto, nei confronti delle aree circostanti?

Sempre più frequentemente si rilevano sentenze riguardanti il diritto al panorama, anche per interventi edilizi in contesti già urbanizzati e regolarmente autorizzati coi titoli abilitativi. Rafforzare la natura di una servitù prediale negativa “panoramica” verso le aree circostanti equivarrebbe a buttare nella spazzatura tutta la disciplina urbanistica e pianificatoria. Non solo sarebbe impossibile realizzare interventi di nuova costruzione, ma diverrebbe arduo fare qualsiasi forma di incremento volumetrico o di sagoma.

Sul punto la giurisprudenza ha già delineato il perimetro applicativo sul diritto al panorama, ad esempio la sentenza del Consiglio di Stato n. 7464 del 6 settembre 2024 (rifacendosi anche ai principi già espressi in Cassazione), precisando che:

l’interesse alla tutela della visuale panoramica costituisce “un interesse di mero fatto, come tale, di regola, inidoneo a configurare una lesione giuridicamente rilevante utile ad integrare la condizione dell’interesse a ricorrere”, richiamando una pronuncia della Suprema Corte secondo la quale “….la panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell’ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto, che può trovare tutela nella servitù altius non tollendi… Nondimeno, il diritto di veduta consistente nella fruizione di un piacevole panorama ….esige che di esso sia previamente accertata l’esistenza. Ebbene, la veduta panoramica può essere acquistata, oltre che in via negoziale (a titolo derivativo), anche per destinazione del padre di famiglia o per usucapione (a titolo originario), necessitando, tuttavia, tali modi di costituzione non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta….l’esistenza del diritto di veduta del panorama non può essere riconosciuta, indicandone la fonte nella mera preesistenza della visuale rispetto all’opera contestata. Ove bastasse, ai fini di ritenere validamente costituita la servitù di veduta panoramica, la mera esistenza in fatto di detta veduta, prima che l’opera contestata ne compromettesse l’esercizio, sarebbe leso il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali” (Cassazione civile, Sez. II, 22 giugno 2023 n. 17922).

Sempre in ambito amministrativo, il diritto al panorama è stato oggetto di altre pronunce come segue:

La visuale panoramica, anche se priva di una diretta protezione giuridica, può rappresentare una qualità che incide sulla migliore fruibilità dell’immobile e quindi sul suo valore economico e in questo senso la sua compromissione può, in concreto, integrare i presupposti di un pregiudizio idoneo a configurare l’interesse a ricorrere, ma deve comunque trattarsi di un pregiudizio effettivo e “serio”: deve cioè trattarsi di una visuale effettivamente fruibile e connotata da evidenti, peculiari e qualificati profili di pregio, proprio per evitare che l’iniziativa giudiziaria finisca per essere piegata a fini meramente emulativi o comunque estesa sino a ricomprendere profili di danno meramente soggettivi, disancorati da dati di realtà (Cons. di Stato n. 6958 del 25 agosto 2025, n. 6474 del 6 settembre 2024).

Volendo fare una sintesi dei suddetti principi, il diritto o servitù al panorama non sussiste in automatico e in tutti casi, bensì richiede puntuali accertamenti di concreta lesione e sulle modalità di acquisizione nel tempo: non é stato affermato che il diritto non esiste, ma che rendono necessarie valutazioni caso per caso. È questo è ancora peggio, perché lascia nell’incertezza molte iniziative edificatorie e di ristrutturazioni sostanziali.

Il diritto al panorama riposto nelle mani del privato non dovrebbe tramutarsi in un privilegio e vincolo sulla res altrui, al punto da comprimere l’interesse pubblico dell’ordinato assetto del territorio, nonostante le previsioni stabilite da un regolare strumento urbanistico vigente.
Dalla L. 1150/1942 in avanti si è affermata la prevalenza dell’interesse pubblico sul privato in materia di pianificazione territoriale (seppur con certi distinguo che si omettono), ma con l’abuso del diritto al panorama si rischia di alterare l’equilibrio: un soggetto proprietario di una costruzione esistente potrebbe avanzare il diritto di veto verso quegli interventi rilevanti da parte dei frontisti. Si giungerebbe quindi a dover negoziare un indennizzo per avere la liberatoria da tutti i potenziali vicini che si affacciano? Ma non scherziamo.

In uno scenario estremizzato le capacità edificatorie andrebbero in cenere (poi chi glielo spiega all’Agenzia delle Entrate per IMU aree edificabili), e potremmo dire addio alla famosa rigenerazione urbana, ancorché fatta con strumento urbanistico attuativo. Forse è il caso che il legislatore intervenga per mettere mano e anche alla svelta. Si ripete ancora: nessuno è contento di veder peggiorare la vista panoramica e paesaggistica attorno a sé, ma il troppo stroppia e rischia di innescare conseguenze a catena, costringendo a musealizzare o paralizzare l’attuale assetto insediativo.

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